Un caso grigio, e forse senza i lupi e la storia internazionale

    Era il 13 maggio 1981, e il mondo era ancora diviso dalla Guerra Fredda. Papa Giovanni Paolo II, Karol Wojtyła, era diventato una figura scomoda per l'Unione Sovietica. Il suo fervente sostegno al sindacato polacco Solidarnosc minava le fondamenta del regime comunista.

    In Piazza San Pietro, la folla si era radunata per vedere il Papa. Tra loro c'era Mehmet Ali Ağca, un turco dalla storia oscura, con una pistola nascosta sotto il cappotto. Senza preavviso, sparò due colpi. Il Papa cadde, colpito all'addome e alla mano sinistra. Le guardie svizzere e la polizia italiana reagirono immediatamente, catturando Ağca. L'attentato fallì, ma le conseguenze si sarebbero rivelate immense.

    La notizia dell'attentato si diffuse rapidamente, scuotendo il mondo. Ma dietro quel tentato omicidio si celava molto di più di un semplice uomo armato. Si trattava di un complotto complesso, orchestrato dai servizi segreti bulgari e supportato dall'intelligence sovietica e dalla Stasi della Germania dell'Est. Il Papa polacco, con la sua inflessibile opposizione al comunismo, doveva essere eliminato.

    Durante il processo, Ağca iniziò a parlare, rivelando dettagli che indicavano un coinvolgimento ben più ampio. Parlò della "pista bulgara", un'indicazione che i servizi segreti bulgari erano coinvolti nell'organizzazione dell'attentato. Le sue dichiarazioni scatenarono un'ondata di indagini che coinvolse diverse agenzie di intelligence.

    Il 24 giugno 1983, un altro dramma colpì Roma. Emanuela Orlandi, una ragazza di 15 anni e figlia di un dipendente del Vaticano, scomparve misteriosamente. Il sequestro di Emanuela sembrava inizialmente una sparizione ordinaria, ma ben presto emerse un collegamento con Ağca. Due giorni dopo la sua scomparsa, il 26 giugno, Ağca smise di parlare, capendo che il rapimento di Emanuela era un messaggio per lui.

    Le indagini sulla scomparsa di Emanuela rivelarono che il suo sequestro era un tentativo di intimidire Ağca e farlo tacere. La giovane non fu mai ritrovata, e il suo destino rimane un mistero, un'ombra oscura che ancora aleggia sul Vaticano.

    Nel frattempo, nuovi testimoni e documenti iniziarono a emergere, gettando luce sull'intricato complotto. Assen Marcevski, un interprete dell'ambasciata bulgara, rivelò come i servizi segreti cercarono di convincere Ivanov Antonov, un capo della Balcan Air, a confessare il delitto per motivi personali, cercando di distogliere l'attenzione dal coinvolgimento dello Stato bulgaro.

    Le rivelazioni di Marcevski furono confermate da ulteriori indagini condotte da giornalisti e storici. Uno dei più noti tra loro fu Ferdinando Imposimato, un giudice italiano che aveva seguito da vicino il caso. Imposimato confermò che i servizi segreti bulgari e la Stasi avevano giocato un ruolo chiave nell'attentato al Papa.

    Tra i documenti rivelatori, vi erano anche quelli del famigerato Markus Wolf, il leggendario capo della Stasi. Wolf confermò, in via non ufficiale, che dietro l'attentato al Papa c'erano i bulgari. Tuttavia, la Stasi aveva orchestrato una serie di depistaggi per sviare le indagini dalla Bulgaria, puntando invece il dito contro la CIA e i Lupi Grigi, un'organizzazione terroristica turca.

    Ma l'intrigo non finì qui. Il 4 maggio 1998, dentro le mura del Vaticano, un altro evento sconvolse il mondo. Tre cadaveri furono trovati in un appartamento: Alois Estermann, il Comandante delle guardie svizzere, sua moglie Gladys Meza Romero e una giovane guardia svizzera, Cedric Tornay. La scena del crimine fu inizialmente interpretata come un omicidio-suicidio, ma indagini successive rivelarono una storia ancora più oscura.

    Alois Estermann, scoperto anni dopo come una spia della Stasi, era pronto a fuggire e rivelare dettagli cruciali sull'intrigo che circondava l'attentato al Papa. I documenti della Stasi, una volta aperti, rivelarono che Estermann aveva raggiunto una posizione di potere all'interno del Vaticano come parte di un'operazione di infiltrazione.

    La sua morte, apparentemente un gesto disperato di una giovane guardia svizzera, si rivelò un ultimo atto dell'intrigo che aveva cominciato quasi due decenni prima. Le ombre del passato continuavano a inseguire coloro che cercavano la verità, in un gioco di specchi e illusioni che lasciava segni indelebili nella storia.

    La vicenda dell'attentato al Papa Giovanni Paolo II e i suoi sviluppi successivi rappresentano uno dei capitoli più oscuri e complessi della storia contemporanea, un intreccio di potere, politica e segreti che continua a suscitare interrogativi e fascinazioni.

    EMANUELA

    La sera del 22 giugno 1983, Emanuela Orlandi, una quindicenne vivace e appassionata di musica, scomparve misteriosamente a Roma. Figlia di Ercole Orlandi, un commesso del Palazzo Apostolico, Emanuela era uscita di casa verso le 16:30 per recarsi alla lezione di flauto presso la scuola di musica Tommaso Ludovico da Victoria. La sua routine prevedeva il passaggio per via del Belvedere, attraversando la Porta Sant'Anna, fino a prendere il bus 64 verso la Chiesa di S. Andrea della Valle.

    Quel giorno, un uomo elegante le offrì un lavoro per promuovere cosmetici Avon, promettendole 350.000 lire per un evento di moda. Entusiasta ma incerta, Emanuela chiamò la sorella Federica, che la mise in guardia. Tuttavia, la ragazza arrivò comunque in ritardo a scuola e ne uscì in anticipo, dicendo a un'amica, Raffaella Monzi, di voler incontrare l'uomo misterioso.

    L'ultima volta che fu vista, Emanuela era alla fermata del bus, avvicinata da una ragazza dai capelli ricci, mai identificata. Dopo quella sera, le tracce di Emanuela si persero. I suoi genitori, preoccupati dal mancato ritorno della figlia, si rivolsero immediatamente alla polizia, ma inizialmente furono rassicurati che il ritardo non fosse preoccupante.

    Il giorno seguente, dopo una notte di angoscia e ricerche vane, la famiglia Orlandi denunciò ufficialmente la scomparsa. Le indagini rivelarono che Emanuela aveva accettato di incontrare nuovamente l'uomo della Avon, probabilmente cadendo in una trappola. Da quel giorno, Emanuela Orlandi diventò il simbolo di un mistero intricato, legato alle ombre del Vaticano e alle oscure trame internazionali, che ancora oggi rimane irrisolto.

    Con la scomparsa di Emanuela Orlandi, la famiglia iniziò una ricerca penosa, accompagnata da un'incredibile serie di ipotesi: fuga d'amore, tratta delle bianche, sequestro di persona a scopo di estorsione. Tuttavia, nessuna di queste spiegazioni trovava riscontro nella situazione familiare o nel comportamento dei rapitori. Gli Orlandi vivevano modestamente con lo stipendio del capofamiglia, e Emanuela non aveva motivi per una fuga volontaria.

    Ercole Orlandi raccontava la loro vita in Vaticano: "Viviamo qui da molti anni. Mio padre Pietro, assunto come stalliere da Pio XI nel 1924, divenne 'ordinanza' della Sala Pontificia nel 1932. Ci trasferimmo in Vaticano quando avevo due anni. Fino al 1970 abitavamo sopra la farmacia, poi ci spostarono nel palazzo della Gendarmeria. Quando persi la cittadinanza vaticana a 25 anni, ci trasferimmo prima in Borgata Focaccia, poi in Via Benedetto XIV, ma io e mia moglie restammo con mio padre. Nel 1970, nominato commesso del Palazzo Apostolico, ricevetti un appartamento al primo piano della palazzina di terza categoria, che ospitava anche le carceri vaticane e l'elemosineria."

    Emanuela era nata e cresciuta in Vaticano. Aveva iniziato a giocare con Raffaella (1), una coetanea, nella Piazzetta Sant'Egidio quando aveva circa 13 anni. La vita tranquilla e protetta all'interno delle mura vaticane rendeva ancora più incomprensibile la sua improvvisa sparizione.

    nota (1)
    Raffaella Gugel, figlia del commendatore Angelo Gugel, aiutante di camera del Papa. Raffaella abitava nello stesso edificio di Emanuela Orlandi, in Vaticano, e aveva circa la stessa età di Emanuela. Le due ragazze spesso giocavano insieme nella Piazzetta Sant'Egidio.

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