La Commissione Parlamentare, l’ultima spiaggia del caso Orlandi
È strano che dopo 41 anni si depone ogni fiducia di risolvere un "cold-case" come il caso Orlandi alla Commissione Parlamentare d'inchiesta. Molto rilevante e anomalo è vedere come alcune deposizioni degli auditi, “mai sentite prima d’ora”, siano rimaste per tanto tempo celate e mai raccontate, e che solo oggi – magicamente – stanno uscendo fuori.
In un altro pianeta avremmo detto che “qualcosa non torna”.
Siamo però fiduciosi che forse, nell’estremo tentativo di sollecitare coloro che hanno dettagli sugli eventi, siano questi stimolati a “ricordare e dire senza censure”, anche solo quei particolari piccoli o insignificanti che però possano chiudere dei ragionamenti mai risolti.
Cosa emerge fino ad oggi
Ancora è presto per definire un quadro completo ma sicuramente ci sono delle piste che stanno prendendo il sopravvento rispetto ad altre: la Stasi è una di queste.
Muore definitivamente la pista “amicale o parentale” che non trova appigli ne logica, e che si arena sui banchi di sabbia lasciando soltanto qualche libro come ricordo, utilissimi per il prossimo Natale come uso nei camini e nelle vecchie stufe a legna.
Prende piede il coinvolgimento di De Pedis e di Marco Fassoni Accetti come parte dell’organizzazione che fisicamente rapì Emanuela Orlandi e che dopo (Accetti) effettuò la turpe sequela di telefonate con personaggi noti alle cronache come “Pierluigi”, “Mario” e l’“Americano”. Di Accetti ormai è riconosciuta la sua voce in tutti i telefonisti.
Anche le dichiarazioni della Minardi, sdoganata nell’inchiesta precedente, hanno moltissimi punti che coincidono straordinariamente con quello che dice il telefonista “Mario”:
1) Torvaianica
2) Monteverde
3) La Gianicolense
Insomma, uno spaccato che individua degli attori certi ma che ancora non fornisce molto sui moventi e sui mandanti.
La STASI secondo il dott. Ilario Martella
Ilario Martella, magistrato che si occupò dell'attentato a Giovanni Paolo II e delle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, ha pubblicato un libro in cui sostiene che questi eventi sono parte di un'unica operazione orchestrata dalla Stasi, il servizio segreto della Germania dell'Est, per proteggere i complici bulgari e sovietici coinvolti nell'attentato al Papa.
Martella, utilizzando documenti della Stasi emersi dopo la caduta della cortina di ferro, ricostruisce un complesso quadro di depistaggi mirati a distogliere l'attenzione dalle responsabilità di figure come Sergej Antonov e altri agenti bulgari. Sostiene che i rapimenti di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori furono eseguiti per creare confusione e impedire che venissero scoperte le vere motivazioni e i mandanti dell'attentato a Wojtyla.
Nel suo ruolo di giudice istruttore, Martella aveva rinviato a giudizio complici come Željo Vasilev, Todor Ajvazov, e Musa Serdar Celebi, ma solo Alì Agca è stato condannato, mentre gli altri sono stati assolti per insufficienza di prove, grazie anche alle pressioni della Stasi. Il libro include documenti della Stasi che sostengono questa tesi, e Martella invita il Vaticano a fare chiarezza su ciò che sa riguardo a questi eventi.
Il rapimento della Orlandi avrebbe quindi dovuto far cambiare idea ad Ali Agca, ed infatti ad un certo punto, il turco cambia strategia e sostiene di essere un lupo solitario, fingendosi un fanatico religioso con disturbi mentali.
Agca era stato persuaso a interrompere la sua collaborazione con Martella, in cambio della promessa di essere liberato se avesse mantenuto il silenzio.
Gradualmente, ha iniziato a screditare sé stesso, presentandosi come un pazzo isolato. Con questo cambio di rotta, il generale Antonov è stato assolto, mentre Agca è rimasto in carcere fino a ottenere la grazia. La Stasi e i bulgari hanno così garantito l'assoluzione di Antonov, regista dell'operazione, insieme agli altri complici dell'attentato. Una condanna di Antonov e dei complici bulgari e turchi avrebbe causato gravi problemi a tutto il blocco sovietico. Dice il dott Martella: "Io e la mia famiglia abbiamo ricevuto minacce di morte più volte a causa di ciò".
Interesse del blocco occidentale e di quello comunista
Ricapitolando, se per la Stasi era assolutamente necessario far decadere i sospetti verso il blocco sovietico come mandanti dell’attentato al Papa del 1981, il blocco occidentale aveva però forte interesse che il Vaticano continuasse la sua politica anticomunista.
In altre parole, il rapimento Orlandi, che originalmente aveva come unico scopo quello di far ritrattare Ali Agca, diventava per gli occidentali un ulteriore fonte di contrasto al blocco sovietico è proprio attraverso il rapimento si accordarono diversi attori.
Da questa riflessione è facile intuire che dal primo appello di Papa Wojtyla all’Angelus del 03/07/1983 si fosse emanato una specie di ordine in codice: “Noi (Vaticano) continuiamo per la nostra strada”.
Una vera e propria condanna a morte per Emanuela. Il Vaticano con l’appello dell’Angelus e come se stesse dicendo che loro andavano comunque avanti e che non si sarebbero fermati anche di fronte al pericolo di vita di una ragazza, loro cittadina.
Se da un lato la Stasi aveva raggiunto il suo obiettivo, ovvero quello di sviare sulla pista bulgara e sovietica con la liberazione del “generale” Antonov, il gruppo occidentale e quello vaticano continuava il falso depistaggio anche a cose fatte.
Tutto si poteva chiudere con la ritrattazione di Ali Agca e quindi con il rilascio di Emanuela.
Va precisato - per correttezza - che quando parliamo di blocchi potremmo tranquillamente circoscriverli a un piccolo gruppo di imprenditori italiani e ad un altrettanto piccolo gruppo di membri del Vaticano che rispettivamente seguivano i loro valori apicali facenti capo alle loro idee economico sociali e politiche.
Spie delle spie
Marco Fassoni Accetti avrebbe collaborato con la Stasi (in funzione di spia infiltrata) facendo inizialmente i loro interessi ma rispondendo alla fazione occidentale-vaticana per tutto il resto.
Enrico De Pedis interagì per scopi economici e per il suo rapporto con il Vaticano, attivato da Mons. Vergari e da qualche altro superiore vaticano, anch’essi in combutta con la Stasi in modo occulto.
I servizi segreti italiani fecero da “osservatori” creando i famosi comunicati Phoenix e Turkesh senza mai interagire direttamente con quello che stava succedendo. Ovviamente schierati con il blocco occidentale per creare depistaggio sul depistaggio.
La Stasi risulterebbe vincitore e vinta allo stesso tempo. Aveva ottenuto grazie al primo depistaggio l’obiettivo di far cadere la pista bulgara e di far ritrattare Ali Agca. Successivamente (e anche oggi) è vittima di essere la sola accusata del rapimento Orlandi. In realtà, secondo il nostro parere, la Stasi avrebbe rilasciato Emanuela dopo la ritrattazione di Agca. Fu però trascinata nel turbinio del doppio depistaggio anche se non aveva più interesse a portare avanti la trattativa.
Imprenditori e gruppo vaticano (che rispondevano a gruppi occidentali come la CIA e la P2) decisero di cavalcare il lavoro della Stasi, in combutta con il Vaticano, per 3 fini:
1) Combattere il comunismo
2) Ottenere denaro dal Vaticano
3) Recuperare somme dallo IOR
Ogni parte coinvolta aveva uno scheletro nell’armadio e per questo nessuno riuscirà mai ad identificare il gruppo “operativo” occidentale con successo. I detentori di queste verità sono rimasti pochi, tra cui appunto Marco Fassoni Accetti.
La fine e la morte delle ragazze
Vorremmo sbagliarci e dire che Emanuela e Mirella sono vive ma è proprio difficile ipotizzare tale prospettiva.
La domanda che ci siamo posti nello studio del caso è questa: "chi ordinò la fine delle operazioni con la relativa uccisione di Emanuela e Mirella, compresa la morte di Josè Garramon e quella di Katty Skerl"?
Inoltre, per onor di logica, è lecito pensare che Mirella fosse stato il primo esperimento per la ritrattazione di Agca. Il rapimento però non ebbe quella risonanza che i rapitori si aspettavano. La povera ragazza per questo motivo, potrebbe essere stata uccisa prima della sparizione di Emanuela Orlandi.
Sono quindi due casi collegati ad un unico fine ma gestiti con diverse aspettative. Anche in questo caso si ricorda la deposizione del'Ex PM dott. Capaldo in Commissione Parlamentare quando suggerisce che "i due casi possono essere trattati insieme con l’avvertenza che i responsabili potrebbero essere diversi"
Potremmo ipotizzare, quando si parla di "responsabili diversi", ai soliti blocchi occidentali e comunisti.
Nel caso di Mirella era stato il blocco occidentale ad organizzare il rapimento, con il solito ausilio di De Pedis e Marco Accetti. In questo caso anche un coinvolgimento del Vaticano (nella persona di Raul Bonarelli) è abbastanza plausibile. La motivazione non era di certo Agca ma solo il recupero di somme di denaro perse con lo scandalo dell'Ambrosiano Veneto.
Nel secondo caso, quello di Emanuela, la cosa si complica di non poco. Basti pensare che si aspettò che la ragazza diventasse cittadina vaticana. Gli interessi (per il blocco occidentale) erano sempre gli stessi (ovvero il denaro) ma era stata la STASI a pilotare il nucleo iniziale: meglio precisando si fece credere alla STASI che stesse pilotando lei. Pensate al ruolo delle doppie spie.
Successivamente, come detto prima, quando la STASI ottiene la ritrattazione di Agca, il blocco occidentale continua contro il Vaticano, dando la colpa all'organizzazione tedesca.
Ancora oggi si pensa che sia stata la STASI a far uccidere le ragazze e José Garramon: si escludono sempre (chissà perché) gli attori occidentali.
Noi pensiamo (ovviamente è solo un 'ipotesi) che dopo che la STASI si accorse del doppio depistaggio (dicembre 1983) fu dato l'ordine di chiudere tutte le questioni. I due gruppi, di comune accordo, trovarono un punto di incontro e i testimoni, nonché chi avesse collaborato ai rapimenti, vennero tacitati, alcuni in modo brutale e pubblico.
Gli assassini di Garramon e della Skerl non vennero dall'EST ma dal blocco occidentale.
Il primo, il piccolo Josè, era stato un chiaro segnale quando ancora non si era giunti ad un accordo tra le due fazioni.
La seconda, Katty Skerl, fu un messaggio lanciato a tutti coloro che sapevano qualcosa o che avevano partecipato ai rapimenti per intimorili e indurli al silenzio per 41 anni.
La Sparizione della Bara di Caterina Skerl e le sue Implicazioni
Un ulteriore elemento inquietante si aggiunge al già fitto mistero: la sparizione della bara di Caterina Skerl dal cimitero Verano di Roma, avvenuta nel 2005. Questo episodio solleva interrogativi cruciali, soprattutto se considerato alla luce delle nuove tecnologie di analisi del DNA, che avrebbero potuto fornire indizi decisivi sugli assassini.
La bara viene sottratta dopo una misteriosa telefonata a chi l'ha visto del luglio del 2005 dove l'interlocutore raccontava che per risolvere il caso Orlandi bastava vedere chi fosse sepolto nella basilica di Sant'Apollinare a Roma. Questo interlocutore, rimasto anonimo, avrebbe potuto conoscere anche la vera identità degli assassini della Skerl per cui, probabilmente, fu da monito per attivare il gruppo di persone che successivamente estumularono la bara.
Un chiaro segnale che gli assassini e coloro che si occuparono di far sparire la bara erano tutti orbitanti nella città di Roma.
Ecco il testo integrale della telefonata:
"Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant'Apollinare e del favore che Renatino fece al Cardinal Poletti all'epoca, e chiedete al bar... al barista di via Montebello che pure la figlia stava con lei, con l'altra Emanuela"
Il bar di Via Montebello apparteneva all'epoca alla famiglia Gregori.
Chi ha sottratto la bara aveva evidentemente il timore che, a distanza di anni, esami genetici potessero collegare il corpo di Caterina Skerl a chi l'ha brutalmente uccisa. Questo atto dimostra una preoccupazione molto specifica, suggerendo che gli assassini fossero quasi certamente italiani e appartenenti al blocco occidentale. Se gli assassini fossero stati agenti esteri, il timore di un'analisi del DNA sarebbe stato probabilmente meno pressante, poiché il legame con l'Italia sarebbe stato più difficile da stabilire.
La necessità di far sparire una bara, quindi, indica non solo un legame diretto con il territorio italiano, ma anche una consapevolezza del rischio concreto che il DNA potesse ricondurre a individui ben noti, probabilmente inseriti nel contesto istituzionale o sociale del tempo.
Questo ci porta a riflettere sulla natura degli assassini: non si trattava probabilmente di semplici killer assoldati per portare a termine un lavoro sporco, ma di persone note, legate a cerchie di potere criminale, il cui DNA avrebbe potuto essere facilmente riconducibile a loro.
La sparizione della bara, quindi, potrebbe essere vista non solo come un tentativo di depistaggio, ma come una mossa disperata per proteggere identità importanti, per evitare che figure di spicco fossero scoperte e collegate direttamente a un omicidio tanto brutale.
In questo contesto, la vicenda della bara di Caterina Skerl non è solo un episodio criminale, ma un indizio che punta verso la possibilità che dietro questi omicidi si celino interessi e responsabilità molto più grandi e radicati.
Chi ha ordinato questa sparizione sapeva esattamente cosa stava rischiando e ha agito con la consapevolezza che l’eventuale scoperta delle loro tracce genetiche avrebbe potuto far crollare un castello di segreti ben protetti per decenni.
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